domenica 14 giugno 2015

RGD: Unbroken

Normalmente inizio le mie recensioni dando qualche informazione di servizio sulla pellicola e un giudizio sintetico, prima di passare all'analisi completa. Stavolta, invece, comincio da un'opinione che ho maturato uscendo dalla sala. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata: che fotografia!
Distratto dai molti impegni di questi giorni, scordavo che è del maestro Roger Deakins, che con Unbroken è alla dodicesima nomination all'Oscar in carriera - questa potrebbe essere la volta buona. Angelina Jolie non poteva fare scelta più saggia che affidare la fotografia del suo secondo lungometraggio da regista a un veterano di gran calibro come Deakins; il buon Roger ha fatto i salti mortali, infatti, per nascondere e compensare il vuoto totale di idee registiche dell'attrice (che nel film, però, non appare), la quale tuttavia ha avuto il coraggio di misurarsi con un'opera estremamente ambiziosa, di enorme portata realizzativa e basata su una non facile sceneggiatura (nemmeno troppo perfetta) dei fratelli Coen. 




Il film racconta la storia vera dell'italo-americano Louie Zamperini. Bambino sregolato e scostumato (fuma, beve e guarda sotto le gonne delle ragazze), Louie viene raddrizzato dal fratello Pete che insiste affinché egli sviluppi il suo talento per la corsa. E Louie lo sviluppa talmente bene che batte parecchi record e partecipa perfino alle storiche Olimpiadi di Berlino del 1936, quelle in cui il nero Jesse Owens vinse quattro ori in faccia a Hitler, stabilendo il record sul giro veloce in pista. Ma questi sono solo flashback: la realtà è molto più drammatica. Louie e due commilitoni, infatti, sono gli unici tre superstiti di un ammaraggio e sono bloccati senza cibo né acqua in balia delle onde su due piccoli gommoni. Vi rimarranno per 45 giorni, uccidendo pesci e gabbiani per sfamarsi e bevendo solo acqua piovana, nella costante paura di non essere divorati dagli squali. Uno di loro, Mac, non ce la fa e muore poco prima che Louie e Phillips (l'altro soldato) vengano catturati dai giapponesi e, dopo qualche mese di prigionia nella giungla, vengano portati a Tokyo e separati.



Louie, già allo stremo, viene rinchiuso in un campo di prigionia gestito dallo spietato caporale Watanabe, soprannominato l'Uccello anche per via del bastone di bambù con cui suole picchiare duramente i prigionieri. Watanabe prende di mira Louie per il suo carattere che non si spezza ("Unbroken", per l'appunto) e ogni occasione è buona per farlo riempire di botte. Il suo unico atto di clemenza è quello di mandarlo a parlare ad una radio giapponese e far sapere alla famiglia in America che è ancora vivo: quando però Louie rifiuta di diventare un traditore e collaborare coi giapponesi, Watanabe lo fa picchiare da ognuno dei suoi compagni di prigionia. 
Quando Watanabe viene trasferito, Louie e gli altri prigionieri apprendono che gli americani stanno per vincere la guerra e vengono spostati in una miniera di carbone, finendo nuovamente sotto il comando di Watanabe. Qui Louie affronta la prova più dura e umilia pubblicamente Watanabe dimostrando di non cedere di fronte alle sue violenze e torture. 
La guerra improvvisamente finisce: Louie e i compagni vengono liberati. Il film si conclude con il ritorno a casa e con le foto del vero Louie Zamperini, scomparso nel 2014 dopo aver corso qualche anno prima la maratona alle Olimpiadi di Tokyo, all'età di 80 anni.



Roger Deakins sforna immagini meravigliose una dopo l'altra, ma purtroppo per lui la regiadi Angelina Jolie si limita a questo: a metterle in sequenza. L'inesperienza dietro la macchina da presa dell'attrice traspare nel momento in cui si comincia a capire che ogni inquadratura è posizionata in quel determinato punto del film solo perché "è bella" e non perché "sta raccontando con un punto di vista particolare ciò che mostra, enfatizzando il significato del contenuto narrativo" (un concetto sottile da capire, non so se mi spiego: ogni inquadratura dovrebbe essere funzionale al racconto e non pura estetica). 
Il gran mestiere di Roger Deakins tappa le falle e cerca di fare da collante alla narrazione per immagini, ma purtroppo temo che mi siano venuti in mente almeno una decina di film da cui la regia di Unbroken scopiazza clamorosamente: Forrest Gump, Platoon, Nato il 4 di luglio, Il Cacciatore, Changeling, Django Unchained (se avete visto il film, vi verranno sicuramente in mente le scene a cui mi riferisco quando cito questi film).

C'è poi qualcosa di più spiacevole ancora, ed è determinato dalle pecche dellasceneggiatura, che vuole fare di Louie un martire (e può anche starmi bene) limitando purtroppo il suo soffrire soltanto alle violenze fisiche che subisce, una specie di The Passion di Mel Gibson (tanto per citare un altro film...) in cui ho sempre l'idea che se il protagonista smettesse di prendere botte (molte volte del tutto gratuite), tutto sommato non starebbe poi così male (forse solo nella miniera di carbone la sofferenza diventa autentica, ma anche lì è più che altro uno stremo fisico).
Manca invece la sofferenza dell'essere lontano da casa, manca il pathos, manca il legame affettivo, manca l'empatia: quest'uomo non ha conflitti interiori; va bene che è l'Unbroken, colui che non si spezza, ma accidenti!
La crudezza delle violenze ricorda 12 anni schiavo (tanto per citare un altro film...), ma non si piange mai, forse anche perché l'attore protagonista Jack O'Connell non convince del tutto (più bravo nella parte in mare che in quella nei campi di prigionia). Inoltre, è assai fuori luogo la scena politicamente corretta in cui vengono mostrate brevemente le sofferenze patite dai giapponesi sotto i bombardamenti americani: se stai facendo un film che vuole concentrarsi sulle atrocità giapponesi verso gli americani, vai fino in fondo, abbi il coraggio di insistere senza dimostrare che in guerra tutti sono cattivi, altrimenti snaturi e indebolisci quanto hai appena creato, a maggior ragione se il film è tutto protagonista-centrico.




Tuttavia il film non è affatto un disastro. Al contrario, ho enormemente apprezzato la maestosità dell'opera, la cui varietà di scenografie e soprattutto di location è davvero notevole, un continuo cambiamento di scenari che a volte frastorna, al punto che l'intera sequenza (oltre mezz'ora) di Louie e gli altri due sperduti in mare sembra nettamente separata dal resto (anche se ruba idee da All is Lost, tanto per citare un altro film...); tuttavia colpisce e ammalia, anche grazie all'ottimo lavoro del reparto tecnico (make-up, costumi, effetti speciali, colonna sonora, montaggio, audio e montaggio sonoro - questi ultimi nominati ai prossimi Oscar). 

Si respira una certa aria di "quasi riuscito" intorno a questa pellicola, che per fare un paragone calcistico sembra il Real Madrid allenato dallo zio Pino. Tuttavia voglio premiare Angelina Jolie per il coraggio dimostrato nel volersi cimentare in un film così impegnativo e per essere riuscita a veicolare bene il messaggio che durante la guerra le persone vengono "spersonalizzate" (centinaia sono i volti delle comparse, tutti davvero uguali uno all'altro, si fa fatica a riconoscerli).
Se Deakins saprà (e soprattutto vorrà) aiutare Angelina a diventare una brava regista, il terreno è fertile. C'è da lavorare parecchio, però, magari la prossima volta affrontando una sceneggiatura di proporzioni ridotte per farsi le ossa e imparare a padroneggiare meglio la macchina da presa a livello concettuale più che pratico, e soprattutto senza scopiazzare dai sacchi di farina altrui.


Voto finale: 6.5
(con mille grazie a Roger Deakins, grazie davvero)

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