domenica 14 giugno 2015

RGD: La Teoria del Tutto

Recentemente notavo come quest'anno la battaglia per l'Oscar per il miglior attore protagonista sia una sfida a due fra uomini che interpretano geni della scienza, e nello specifico il Benedict Cumberbatch/Alan Turing di The Imitation Game (già recensito) e l'Eddie Redmayne/Stephen Hawking di La Teoria del Tutto. La volta scorsa davo per scontata la vittoria di Cumberbatch, anche perché Redmayne è fresco di Golden Globe... eppure probabilmente mi sbagliavo, perché il giovane londinese ha dato prova di meritarsi ampiamente l'incredibile doppietta, regalando al bel film di James March (autore di pregevoli documentari come Man on Wire e Project Nim) un enorme valore aggiunto. Piccola curiosità: se vincesse davvero l'Oscar, un certo riconoscimento al rivale Cumberbatch dovrebbe conferirlo, dal momento che fu proprio Cumberbatch a interpretare Stephen Hawking in un film inglese per la tv nel 2004. 

 


La Teoria del Tutto è il motore che muove e ispira la sfortunata vita del geniale cosmologo e astrofisico di Oxford, è l'equazione unica ed elegante che spiega in un colpo solo tutto ciò che c'è da sapere sull'Universo; un'equazione che Stephen Hawking cercherà per tutta la vita, una vita che nel film viene ripercorsa dal 1963 (anno della sua iscrizione all'Univeristà di Cambridge) al 1988 (data di pubblicazione del suo libro più famoso, "Breve storia del tempo"), 25 anni in cui seguiamo però fondamentalmente la vita privata dello scienziato (il film è infatti tratto dalla biografia della ex moglie, Jane Hawking). 
La pellicola prende quindi il via dalla sera in cui Stephen, ancora giovane e apparentemente sano, conosce Jane, una fervente religiosa studentessa di lettere straniere, così diversa da lui eppure così compatibile. Fra i due nasce un forte amore, e la carriera accademica di Stephen sembra procedere a gonfie vele, soprattutto dopo lo sviluppo degli studi sull'origine dell'Universo ispirati dalle teorie del matematico Roger Penrose. Tuttavia a Stephen viene diagnosticata una grave forma di atrofia muscolare progressiva, detta malattia del motoneurone: il suo cervello perderà irrimediabilmente il controllo di tutti i muscoli volontari con l'andare del tempo, e la sua aspettativa di vita (così gli dicono) sarà di appena 2 anni. 
L'amore di Jane, però, è più grande e contro il parere di tutti i due si sposano e hanno tre figli (le funzioni sessuali di Stephen, così come quelle cerebrali, non sono intaccate); la malattia dello scienziato non gli accorcia la vita (oggi ha 72 anni), ma i rapporti familiari sono sempre più compromessi: per fortuna c'è il giovane Jonathan, direttore del coro della chiesa e vedovo, che accetta di aiutare Jane nella gestione del marito e dei bambini. Fra Jane e Jonathan nasce un sentimento che Stephen coglie e comprende, ma il sacrificio di Jane verso il marito diventa totale quando, dopo un malore, allo scienziato viene effettuata una tracheotomia che gli toglie anche l'uso della parola. I computer permettono a Stephen di parlare e gli ridanno nuova forza: pubblica quindi il libro "Breve storia del tempo" e diventa sempre più famoso a livello globale per le sue teorie scientifiche rivoluzionarie; perderà tuttavia Jane per sua scelta, preferendole la nuova infermiera, con la quale si sposerà. Stephen e Jane (risposatasi con Jonathan) rimangono amici ancora oggi. 




Il titolo potrebbe essere fuorviante: delle teorie scientifiche di Hawking c'è ben poco nel film, esse vengono lasciate dalla sceneggiatura in secondo piano, in sottofondo, non sono il centro della narrazione. Piuttosto la Teoria del Tutto è da ricercare nei rapporti umani e nell'amore; meravigliosa la scena finale che ripercorre a ritroso tutto il film grazie ad un ottimo montaggio, ritornando al punto di partenza; e così, come tornando indietro nel tempo si risale all'origine dell'Universo, tornando indietro nella propria vita si risale all'origine del Tutto: il momento in cui nasce l'amore fra due persone. 



Ci si commuove molto nel film di James March, la cui regia offre scene intense che sono veri propri punti fermi del film (la scena in cui Hawking si siede sulla sedia a rotelle da cui non lo vedremo alzarsi mai più, o la scena della separazione fra Stephen e Jane) e sfrutta ampiamente (e saggiamente) i dettagli e i primi e primissimi piani, enfatizzando gli occhi e le emozioni dei personaggi. E' così che riusciamo ad apprezzare il magistrale sforzo interpretativo di Eddie Redmayne: una cura del particolare, dei movimenti del proprio corpo e di ogni singolo muscolo così precisa e accurata non si vedeva dai tempi di Rain Man con Dustin Hoffman; Redmayne è talmente realistico (e ben truccato, complimenti al reparto make-up) che per lunghi tratti ci si dimentica che stiamo guardando un attore; a volte sono le dita, altre volte le palpebre, e poi la bocca che articola sempre meno le parole, e quegli occhi che parlano anche quando Hawking non può parlare più: epico. Talmente epico da oscurare l'ottima performance di Felicity Jones nel ruolo di Jane (anche lei nominata all'Oscar, anche se si ispira molto alla Jennifer Connelly di A Beautiful Mind, guarda caso vincitrice di Oscar), una donna forte, che dà tutta se stessa, che affronta difficoltà, pregiudizi, malelingue, e sacrifica le proprie passioni per amore di Stephen, e che non riesce a smettere di sentirsi in colpa per i sentimenti che prova per Jonathan (Charlie Cox, bravo a sua volta) nonostante il marito la comprenda. Difficile scegliere la scena meglio interpretata, ma direi che decisamente emozionante è quella in cui Stephen rinuncia a usare la tavoletta con le lettere e preferisce scandire col labiale "I love you" alla moglie, nonostante lei abbia appena autorizzato la tracheotomia che gli ha tolto l'uso della parola.
La colonna sonora di Johann Johansson (registrata nei mitici studi di Abbey Road) dà il suo enorme contributo, con temi bellissimi ed eccezionalmente appropriati (giusta nomination all'Oscar). 



Certo, il film non è esente da alcune pecche grossolane che impediscono di sfornare il capolavoro: pecche narrative (la scena della conferenza stampa è eccessivamente retorica e sembra voler inserire a tutti i costi le citazioni più famose di Hawking), stilistiche (le spiegazioni scientifiche ridotte a paragoni con la verdura mi sembra un eccesso gratuito) e soprattutto tecniche (continue inquadrature sottofuoco, e in generale una fotografia non particolarmente memorabile).

Tuttavia il coraggio di realizzare un biopic su un personaggio ancora in vita va apprezzato, in particolare per il messaggio che vuole lanciare: alla fine, la Teoria del Tutto è che l'Universo è una cosa sola, una singola particella elementare, e quindi anche noi e i nostri sentimenti lo siamo. Il cosmo è nei nostri cuori. 


Voto finale: 8.5
(ma senza Eddie Redmayne era un 7.5)

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