domenica 14 giugno 2015

RGD: Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato

Devo essere onesto, forse non ho avuto il giusto approccio nei confronti de Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato quando mi sono seduto in sala.
Avevo letto qualche recensione non troppo positiva di critici da me stimati, partivo dal presupposto che mai si sarebbe eguagliato il livello della precedente (ma narrativamente successiva) trilogia, e che fare altri tre film per un libro dalla portata molto più modesta mi sembrava una forzatura troppo evidente.
La visione del film ha, purtroppo, confermato che avevo ragione.



La prima novità evidente dai titoli di testa è che a questo giro la New Line Cinema non è sola: Metro Goldwyn Mayer coproduce e Warner Bros distribuisce. Nella mia mente, ignara dei reali dati di produzione, scatta (forse erroneamente) l'idea che il budget sia più alto e la fiducia nella sapienza di Peter Jackson mi fa pensare che possa anche essere ben sfruttato. Invano.

Riguardo alla trama, il film si apre con un rassicurante ritorno alla Contea, nel giorno del 111° compleanno di Bilbo Baggins, qualche ora prima della festa. Bilbo (di nuovo Ian Holm, truccato malissimo questa volta, sembra più giovane rispetto a dieci anni fa, da quanto l'hanno spianato) inizia a scrivere un libro per Frodo, il libro che Frodo stesso completerà alla fine del Ritorno del Re.
E' così che, nei primi quindici minuti, Jackson ha modo di raccontarci per mano di Bilbo le premesse da cui muove Lo Hobbit: la splendente e ricchissima città di Erebor, dimora dei Nani governati da Re Thrain, viene saccheggiata e distrutta dal feroce drago Smaug (apprezzabile la scelta cinematografica di non mostrarlo mai in questo primo capitolo della nuova trilogia), che si insedia nella montagna attirato dall'enorme quantità di oro e tesori in essa presenti.
I Nani, quindi, guidati dal valoroso principe Thorin Scudodiquercia, figlio di Re Thrain, sono costretti ad emigrare, a causa del mancato aiuto degli Elfi durante la battaglia contro il drago.
Il racconto di Bilbo è però interrotto dall'arrivo di Frodo (ancora Elijah Wood, un cameo che ha stupito l'intera sala dal momento che nessuno l'aveva annunciato). Il ragazzo ricorda allo zio Bilbo che quella sera si terrà la festa di compleanno e poi si reca ad accogliere Gandalf (collegandosi alla prima scena de La Compagnia dell'Anello).
E' qui che Bilbo, rimasto solo, si perde nei ricordi di quanto è successo 60 anni prima, quando Gandalf è arrivato per la prima volta a casa sua.




Finita quindi questa pregevole parte introduttiva, in cui ritroviamo luoghi e tratti dell'epicità della saga precedente (con qualche errore grossolano dal punto di vista della logica: perché mai gli Elfi
dovrebbero muovere un intero esercito per arrivare alle porte di Erebor, dare un'occhiata e poi ritirarsi dopo un semplice sguardo?), eccoci proiettati in un lunghissimo flashback che durerà per tutta la trilogia senza più avere intervalli.
I panni di Bilbo sono quindi vestiti da Martin Freeman, il più brillante di tutto il film, uno dei pochi punti di forza della pellicola: finalmente un protagonista simpatico e semplice, dotato della forza di Frodo unita alla simpatia di Merry e Pipino, tutto in un unico personaggio. Eccellente il lavoro di Freeman nel riprendere le movenze e il modo di recitare di Ian Holm giovane nella prima trilogia.
Da questo momento, però, per una buona mezz'ora la storia ha un vistoso calo e comincia ad avvertirsi quello che poi è il principale difetto della pellicola (e credo lo sarà di tutte e tre le pellicole): lo stiracchiamento della breve vicenda. Tutto il film è infatti caratterizzato dalla sensazione che la storia non proceda mai, le sequenze sono troppo lunghe e non si procede nell'avventura, contrariamente a quello che avveniva nel Signore degli Anelli in cui la quantità di materiale era tale che la sensazione era quella di una condensazione assoluta.

Per la successiva mezz'ora, dicevo, ci troviamo a conoscere i 12 nani protagonisti, a cui purtroppo non riusciamo ad affezionarci né all'inizio, né nel resto della storia; la trasposizione della goliardia e della volgarità dei Nani tolkeniani fallisce appieno, dal momento che la maggior parte dei loro scherzi è a base di rutti e dialoghi riconducibili alla tipica commedia volgare degli anni Duemila, cosa che a Tolkien avrebbe fatto vedere i sorci verdi. Inoltre, per tutto il resto della pellicola, manca una vera caratterizzazione psicologica dei Nani, per cui non riusciamo a provare un vero e proprio interesse, nemmeno nelle scene d'azione, la cui suspanse è a volte tirata all'eccesso considerando che si sa già il finale (non muore nessuno).
Gli unici Nani che salgono all'onore della cronaca sono Thorin Scudodiquercia (vero perno del film dal punto di vista drammaturgico, molto più di Gandalf e Bilbo che appaiono eccessivamente di contorno, mentre Thorin è una specie di surrogato di Aragorn sotto ogni aspetto), Bofur e Kili (piccoli surrogati di Legolas) e il goffo nano obeso a cui però manca la grinta di Gimli. Degli altri si fa fatica perfino a ricordarsi il viso.
Alla compagnia di Thorin manca la forza, la compattezza, la carica emotiva della compagnia di Frodo, e il loro viaggio successivo verso Erebor, che noi seguiamo per tutto il resto della pellicola, ricalca forse in maniera eccessiva quello della Compagnia dell'Anello, compreso il passaggio a Granburrone in cui ha luogo una delle scene peggiori del film, una orribile "carrambata" in cui ritroviamo Elrond, Galadriel e perfino Saruman (che ovviamente è ancora buono) tutti insieme appassionatamente.



Dopo Granburrone, come nel primo episodio dell'altra serie, la compagnia si infila ancora in una montagna (là era Moria, della quale stavolta vediamo soltanto il suo signore, il nano Balin -il più vecchio membro della Compagnia, secondo soltanto a Thorin Scudodiquercia e cugino di Gimli-, qui invece siamo nelle Terre Selvagge).
All'interno della roccia si svolge almeno un'ora di pellicola, ma è qui che viene presentato il personaggio peggiore, che ha suscitato non poca ilarità e sdegno in sala, il ciccionissimo Re degli Orchi, una specie di Jabba the Hutt mescolato a Jar Jar Binks e ai peggiori cattivi disneyani: vorrebbe essere simpatico, ma risulta soltanto ridicolo (e muore in maniera ancora più ridicola).

Finalmente, però, dopo un'ora e tre quarti in cui la reazione principale è uno sbadiglio trattenuto, arriva Gollum e, soprattutto, l'Anello del Potere. E' qui che ritorniamo ai fasti di un tempo, una scena di quindici minuti che sembra durare due, con Bilbo e Gollum che si sfidano a indovinelli e si contendono l'Anello, fino a che ci viene mostrato il famoso gesto di pietà da parte di Bilbo che risparmia la vita a Gollum, gesto raccontato da Gandalf a Frodo nelle miniere di Moria nel primo episodio della precedente trilogia.

Sparito l'Anello, però, ritorniamo ai livelli del resto del film, con una battaglia finale che ricorda molto quella contro gli Uruk-Hai lungo il fiume nell'altro film, compreso il leader (in questo caso si tratta di Azog, l'Orco Bianco in passato mutilato da Thorin e desideroso di vendetta).

Ma in realtà manca un vero cattivo come Sauron, assente fisicamente ma sempre presente, manca quell'aurea di malvagità che l'Anello lasciava trasudare in ogni inquadratura; manca l'emotività, lo spettatore non si lascia coinvolgere dentro, segue semplicemente una sequenza di cadute e di rimbalzi dei personaggi, le azioni vorticose e tutte le coreografie da battaglia a cui i nostri Nani si prestano, ma non c'è traccia di un Sam, non esiste quel valore dell'Amicizia che l'altra Compagnia faceva propria virtù, non esiste un dolore come la morte di Boromir.

Forse il problema principale è la motivazione alla base della storia: aiutare i Nani a ritornare in possesso della loro città affrontando un drago, mi dispiace, ma non può avere la stessa portata dell'impresa dell'Anello, per grandezza, per importanza, per epicità, per difficoltà; l'errore, beninteso, non sta in Tolkien ma sta nella New Line e nella volontà di voler fare un'altra trilogia, quando invece Lo Hobbit sarebbe stato un ottimo film-fiume da 4 ore, oppure un doppio film da 2 ore e mezza, volendolo allungare.
E' sbagliato lo spirito, è sbagliato questo continuo voler tornare a rimandare alla vecchia trilogia, come a dire: "Siamo ancora noi", andava affrontato tutto con un mood diverso.

Perfino Gandalf, di cui ancora non ho parlato, risulta penalizzato (al di là della voce di Gigi Proietti, non adatto secondo me, ma è difficile rimpiazzare lo scomparso Gianni Musy): appare più fragile e troppo moralistico, troppo goffo in alcune circostanze perfino per essere di nuovo "Il grigio" e non ancora "Il bianco" come ne Le Due Torri e ne Il Ritorno del Re.
E questa fretta di anticipare alcuni elementi come Il Necromante, giusto per ricondurre a qualcosa che possa sembrare una vaga somiglianza di Sauron, giusto per infilarci qualcosa che richiamasse anche i Nazgul, in modo da avere tutti i rimandi completati, è eccessiva.



Alla fine ne rimane un polpettone pieno di uso massiccio del digitale (è stato girato quasi tutto in motion-capture e in blue box), con qualche sequenza davvero epica (Gollum, la battaglia dei giganti di roccia, il finale fra le fiamme), ma molte sequenze dubbie (la carrambata a Granburrone, l'erba-pipa usata come fosse marijuana, l'arrivo dei ragni giganti alla casa di Radagast il Bruno, i rutti e le volgarità dei Nani, Galadriel che dà conforto a Gandalf come fosse sua madre, il Re degli Orchi che sembra un Jabba the Hutt più disneyano) e ben poche scelte sagge (scegliere Martin Freeman come nuovo Bilbo; l'utilizzo della colonna sonora, ad esempio, che in certi casi ribalta il significato dei temi musicali, come quando associa il tema dei malvagi Nazgul alla riscossa del valoroso Thorin; oppure il fatto di non mostrare mai il drago Smaug).
Perfino la canzone dei Nani non ha la stessa carica emotiva di quella cantata da Pipino ne Il Ritorno del Re alla corte di Denethor, mentre Faramir cerca di riconquistare Osgiliath, uno dei molti segni di come anche la regia di Jackson sia più spenta e non riesca bene a bilanciare le sequenze calme con quelle vorticose, forse abusando di alcune inquadrature aeree a discapito della comprensione dell'immagine.

In definitiva, non si arriva nemmeno lontanamente ai livelli di coinvolgimento e di epicità della prima trilogia, e mi sento di classificare Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato come una specie di
commediola giocattolo proiettata verso l'inevitabile videogame avventuroso, in cui il mondo di Tolkien e la Terra di Mezzo fanno solo da cornice nostalgica e in cui si è compensata la carenza di materiale narrativo (eccessivamente spiattellato) con alcuni elementi del Silmarillion.
Come ultima produzione cinematografica tratta da Tolkien (la Fondazione Tolkien ha ufficializzato che non concederà mai più i diritti per il cinema) ci aspettavamo molto, molto di più.
Speriamo nei prossimi due episodi.

Godibile, se lo si prova a vedere come film a sé stante; ma dire che ti fa venire voglia di vedere il secondo, è eccessivo.

Voto finale: 5.5

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