domenica 14 giugno 2015

RGD: American Sniper

Clint Eastwood, forte dei suoi 31 premi personali ottenuti in carriera fra Oscar, Golden Globe, David di Donatello e Director's Guild, probabilmente non se ne interessa, ma in realtà si sottopone di nuovo all'attento esame del pubblico dopo due film sottotono (per non dire bruttini) come Hereafter e soprattutto J.Edgar; la speranza mia e di tutto il pubblico è quella di rivedere capolavori del calibro di Million Dollar Baby, Changeling Gran Torino, quei capolavori che gli hanno permesso di ottenere i 31 premi sopracitati. 
Clint sceglie invece di nuovo la via del film di guerra e con American Sniper si rimette nella strada dei suoi due film bellici più riusciti (Flags of our Fathers e Letters from Iwo Jima). Questa volta, insieme al suo attore protagonista Bradley Cooper (e diamoglielo un Oscar, accidenti), produce un biopic per noi europei (e per larga parte degli americani) piuttosto controverso e racconta la storia recentissima di Chris Kyle, il cecchino più letale della storia delle milizie americane, e lo fa con gusto, con grandissimo mestiere e ottima capacità di entertaining, non senza qualche piccola pecca nella costruzione drammaturgica. 



Il film si apre con la sequenza che, saggiamente, è stata utilizzata come teaser trailer: Chris Kyle si trova sul tetto di un edificio in Iraq, con una donna e un bambino armati di granata nel suo mirino. La tensione è alle stelle dopo soli 40 secondi: prima di sapere se premerà il grilletto, però, è bene conoscere l'uomo che imbraccia il fucile. Inizia quindi un breve flashback in cui vediamo un Chris bambino ricevere gli insegnamenti di suo padre: "Ci sono solo tre tipi di persone al mondo: le pecore (i deboli), i lupi (i cattivi) e i cani pastore (quelli che proteggono le pecore dai lupi). Io non allevo pecore e ti ammazzo di cinghiate se diventi un lupo. Il tuo obiettivo è proteggere". Quella breve sequenza a tavola è la più importante dell'intero film: le parole del padre, quell'insegnamento, quella missione di vita che è proteggere e salvare gli altri, sono il controverso manthra che Chris Kyle ripete a se stesso per tutta la vita, a volte anche come scusa. 
Gli attentati islamici alle basi americane in Iraq e Afghanistan spingono Chris ad arruolarsi nei Navy Seals e, dopo gli attentati dell'11 settembre, a iscriversi nella divisione cecchini. Terminato il durissimo addestramento (per fortuna Clint ha saltato tutti gli stereotipi pseudo-divertenti alla Full Metal Jacket), il flashback prosegue raccontando l'incontro fra Chris e Taya, la sua futura moglie. Lui all'inizio brillante e animato da seria passione per lei e per il proprio Paese, lei titubante, nervosa (non si sa per cosa), poi via via sempre più disinvolta e innamorata, fino al matrimonio. Proprio in quel giorno arriva la chiamata: Chris e il suo plotone vengono spediti in Iraq. Si ritorna alla scena iniziale, donna e bambino sotto tiro; Chris li uccide entrambi: le sue prime vittime. 
Dopo un breve turbamento, inizia la metamorfosi del personaggio e il film prosegue raccontando a fasi alterne i quattro turni militari di Chris in Iraq (in cui le cose che vede e che fa sono sempre più terribili e sfortunate, nel tentativo di uccidere il letale cecchino siriano Mustafa) e i quattro rispettivi rientri a casa dalla sua famiglia: con Taya ha due figli, ma la sua mente rimane sempre al fronte, tormentata da Mustafa e dagli echi della guerra, con il suono dei mitra che gli torna alla mente quando sente un trapano in funzione, lo stesso trapano con cui ha assistito all'uccisione di un bambino. 
Dopo una tesissima battaglia in una tempesta di sabbia, Chris riesce ad uccidere Mustafa e a salvare se stesso e i compagni per miracolo, e decide di rientrare a casa definitivamente. Ma la guerra non lo abbandona e i soldati sono la sua nuova famiglia: grazie all'estrema forza di volontà della moglie, però, Chris riesce a trovare una nuova missione nella vita con cui allontanare gli spettri del passato: aiutare i reduci, rimasti feriti, mutilati o soli. Ed è questo che porterà Chris alla morte: il 2 febbraio 2013 viene assassinato da un reduce che Chris cercava di aiutare. 
Il film si chiude con le vere immagini di Chris e famiglia, e del suo funerale. 



Partendo dall'aspetto tecnico, c'è poco da dire: la fotografia è perfetta per il film, calda, arida e verde-giallastra, come le divise dei militari, anche se manca di punti-luce forti e i contrasti non sono troppo calcati. Il montaggio è ottimo, permettendo al film non solo di raccontare le fasi alterne di Chris ma anche quelle di battaglia senza mai cadere in confusione. Menzione d'eccellenza per il montaggio sonoro, ottimo nella post-produzione, con i colpi di pistola a volume diverso a seconda di dove è posizionata la macchina da presa, e gli echi delle battaglie nelle orecchie di Chris, un sonoro costante che riempie la quasi totale assenza di colonna sonora (perfino nei titoli di coda che sono muti, dopo le immagini del funerale di Chris - una chicca d'autore, una sorta di minuto di silenzio per la sua morte e per tutte le morti raccontate); le scenografie sono perfette e il Marocco è stato ottimamente ricostruito per riprodurre fedelmente l'Iraq; eccellente il cast: Bradley Cooper si conquista meritatamente una nomination agli Oscar, enormemente ingrossato a livello muscolare dopo il vero addestramento coi Navy Seal per essere credibile, e ottimo nelle parti drammatiche (particolarmente bravo nella scena in cui, al quarto turno in Iraq, spera di non dover sparare ad un bambino, e nella scena in cui diventa furioso nella nursery quando le infermiere trascurano la sua bambina che piange); Sienna Miller forse nella sua miglior performance in carriera nel ruolo di Taya, fragile e decisa allo stesso tempo, innamorata e affranta, non abbonda in lacrime e isterismi e mostra una continua tensione interiore in maniera magistrale; il cast di contorno (soldati, milizie afghane, cecchini) è credibile e caratterizzato. 



Ma forse il merito è della sceneggiatura, che affronta con attento equilibrio un tema delicatissimo (per questo inizialmente lo definivo controverso): stiamo comunque parlando della vita del più letale cecchino d'America, con oltre 160 uccisioni sulle spalle. Si vanno a toccare temi delicatissimi come la necessità dell'intervento armato, il patriottismo, l'omicidio: quanto il "proteggere" amici e patria legittima l'uccisione di bambini a sangue freddo? Inoltre il rischio di dipingere gli iracheni come i "cattivi a tutti i costi" era altissimo: la sceneggiatura si barcamena bene, generando un film che ruota tutto intorno al protagonista (anche se è esagerato che lui sia davvero il migliore in tutto quello che fa), per cui non c'è la pretesa di dare un'opinione assoluta, ma solo l'opinione del protagonista, il risultato dei suoi pensieri a seguito della sua crescita personale e delle sue esperienze di vita al fronte e a casa. La regia di Clint Eastwood, noto repubblicano e sostenitore degli interventi armati, pur esprimendo la propria chiara opinione in merito, non cade nei classici eccessi di americanismo e patriottismo e rimane misurata, precisa, con inquadrature efficaci e il suo tipico stile intimistico, anche se le scene di battaglia sono forse fra le migliori nel cinema di guerra. 



Un film che non lascia indifferenti, che spinge a porsi domande di tragica attualità (soprattutto dopo il recente inasprirsi delle tensioni fra occidente e ISIS, con gli attentati di Parigi), la cui unica pecca è forse quella di avere fretta di raccontare le cose, soprattutto quelle che riguardano la famiglia di Chris, il suo rapporto con la moglie e la sua vita negli USA: è come se la guerra non solo richiamasse il suo protagonista, ma anche il regista. Una scelta voluta? Può darsi. Il rammarico è che, così facendo, si fatica ad identificarsi nel protagonista, il che va a scapito dell'empatia.

Clint osa, racconta e si rimette in pista con la storia vera di un uomo che a volte smette di essere umano: impresa non facile, un tentativo estremamente apprezzabile, ma è difficile toccare le corde emotive più intime di un pubblico con un argomento del genere. Con un po' di identificazione in più sarebbe stato un altro grandissimo capolavoro, mentre rimane "soltanto" un film di buon pregio.


Voto: 7.5

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