domenica 14 giugno 2015

RGD: Big Hero 6

Per il proprio 54° film "classico", gli studi di animazione della Walt Disney cominciano a beneficiare del nuovo universo di proprietà allargato e producono un lungometraggio targato Marvel studios (anche se la dirigenza Marvel ha confermato di non aver preso direttamente parte al film). Big Hero 6, infatti, riprende l'omonimo fumetto e si concede molte libertà narrative, motivo per cui i fan accaniti sicuramente rimarranno delusi. 
I fan non accaniti come me, invece, ne possono soltanto rimanere ammaliati. E non solo per la qualità dell'animazione, ma anche e soprattutto per la sceneggiatura di Don Hall (anche regista) e Jordan Roberts, un vero e proprio capolavoro di costruzione narrativa.  



La storia si svolge nella geniale ambientazione di San Fransokyo, una metropoli immaginaria che riunisce paesaggisticamente le città di San Francisco e Tokyo, creando un melting pot visivamente geniale in cui nella baia californiana il Golden Gate Bridge è fatto di pagode e la downtown presenta i grattacieli della metropoli giapponese (con copia della Torre Eiffel inclusa) che si snodano sulle tipiche colline della città americana. 
Il protagonista è Hiro Hamada, un ragazzino di 14 anni dotato di un'intelligenza fuori dal comune, cosa che gli ha permesso di diplomarsi al liceo l'anno precedente. Tuttavia, Hiro sfrutta male il suo potenziale, sprecandolo creando piccoli robot da combattimento con cui fare incontri illegali nei bassifondi della città. E' il fratello maggiore di Hiro, Tadashi, a metterlo sulla giusta strada: dopo la morte dei loro genitori, Tadashi è la figura di riferimento per Hiro, motivo per cui il ragazzino accetta di buon grado di visitare l'Institute of Technology, la più prestigiosa università di San Fransokyo. Qui Tadashi gli fa fare la conoscenza dell'esimio professor Callaghan, una delle più rinomate menti del mondo, e dei suoi amici inventori: l'atletica Gogo Tomago, il pignolo Wasabi, la maga della scienzaHoney Lemon e la assolutamente non geniale mascotte dell'istituto, il giovane Fred. Hiro si convince ad abbandonare i combattimenti clandestini e a presentare un ambizioso progetto per poter essere ammesso all'università.
Per questo motivo inventa i microbot, piccolissimi robottini metallici che, se controllati mentalmente, possono fare qualsiasi cosa e assumere qualsiasi forma. Durante la presentazione, il professor Callaghan rimane molto colpito dall'invenzione di Hiro, ma non è l'unico: i microbot suscitano l'interesse di Aleister Krei, milionario proprietario della Krei Tech Industries, che offre a Hiro milioni di dollari in cambio dell'invenzione. Intuiamo che fra Callaghan e Krei c'è dell'inimicizia e, fidandosi del professore, Hiro rinuncia all'offerta. Ma quella sera stessa, un incendio divampa nell'università: i microbot sono persi, e sia Callaghan che Tadashi perdono la vita.
Hiro è distrutto per la morte del fratello e completamente solo: per fortuna gli è rimasto Baymax, un robot grasso e bianco, inventato da Tadashi e programmato per essere un operatore sanitario. I due diventano presto amici ed è Baymax a far notare a Hiro come l'unico microbot rimasto in suo possesso sembri "attivo": seguendo i suoi movimenti, Hiro e Baymax scoprono che in realtà i microbot non sono scomparsi, ma sono in mano ad un misterioso e malvagio individuo che indossa una maschera Kabuki, e che cerca di ucciderli. 
Per fermarlo, Hiro programma Baymax in modo da trasformarlo in un robot combattente inserendo un secondo chip nel suo petto (oltre a quello di operatore sanitario inserito dal fratello): i due, poi, si uniscono ai quattro amici di Tadashi che sfruttano le loro invenzioni per diventare un team di supereroi, i Big Hero 6. 
I nostri eroi scoprono che in realtà l'individuo malvagio è Callaghan, sopravvissuto all'incendio e deciso a vendicarsi su Aleister Krei, il quale anni prima aveva spedito la figlia di Callaghan attraverso un macchinario che consentiva il teletrasporto, dal quale la ragazza non era mai più uscita. 
Nell'epica battaglia finale, sarà l'astuzia di Hiro a consentire la sconfitta del cattivo e il salvataggio della ragazza creduta morta: purtroppo l'impresa costerà la perdita di Baymax, in uno dei finali più tristi di sempre dell'universo Disney (non basta il fatto che Hiro costruisca un altro Baymax con lo stesso chip inventato dal fratello a cancellare quell'addio). 



Al di là di qualche piccolissima incongruenza (un'intera scena comica è costruita sulla batteria scarica di Baymax, batteria che poi durante il film non si scaricherà mai più), come anticipavo, la sceneggiatura è un capolavoro di costruzione narrativa: non solo la divisione in tre atti è ben riconoscibile, ma ogni singola scena - oserei dire ogni battuta - è posizionata in modo tale da costruire un gancio perfetto, per poi essere ripresa al momento giusto e con il giusto equilibrio in un altro contesto che ne ribalta il significato, e questo meccanismo avviene senza che lo spettatore se ne accorga (prevedibilità quasi zero). Il ritmo non cede mai il passo a scene fiacche e inutili, ogni gag comica non è mai fine a se stessa, ma volge ad uno sguardo d'insieme ed è perfino necessaria alla narrazione. 
personaggi sono costruiti con abile maestria e presentano conflitti ben definiti, che finalmente ritrovano uno spessore drammaturgico: Hiro è di fatto un orfano che si trova a perdere il suo unico punto di riferimento (il fratello Tadashi), colui che gli lancia uno dei messaggi più belli di questi tempi (e, aggiungerei, molto raro in un film Disney, solitamente denso di stereotipi): guardare ogni situazione da un'altra prospettiva. Il dolore di Hiro per la perdita del fratello è reale, tangibile: la scena in cui Baymax gli mostra i video dei vari collaudi che Tadashi aveva fatto per crearlo è un momento di rara commozione nel cinema d'animazione (pareggiato soltanto dal finale di questo stesso film, e dalla storia di Carl e Ellie in UP). Ma non è soltanto Hiro ad essere magistralmente definito: parliamo di Callaghan, finalmente un cattivo degno di questo nome (anche se ancora non così malvagio come un Frollo o uno Scar), mosso dal desiderio di vendetta verso un uomo che (a suo dire) ha ucciso sua figlia; e lo stesso Alister Krei, benché appaia pochissimo, dipinge perfettamente l'immagine dell'industriale moderno. I personaggi più stereotipati sono i quattro amici di Tadashi: Gogo Tomago è la classica ragazza maschiaccio, Honey Lemon la biondina magrolina con gli occhiali un po' impacciata, Wasabi il pignolo e fifone, Fred lo stupido (anche se la genialata di rappresentarlo come il figlio di Stan Lee è davvero... geniale!!!!): ma in realtà vanno bene così, perché il loro ruolo è proprio quello di aiutare la narrazione. E poi, c'è Baymax: tutto bianco, grasso e impacciato, con quelle zampette ciccione, dall'aspetto (testualmente) "tenero e coccoloso", la voce sempre dolce, i movimenti goffi e rigidamente programmati, dispensa consigli e impara a diventare umano, anzi, forse meglio degli umani. E anche in questo caso emerge l'equilibrio della sceneggiatura, quando Baymax diventa protagonista assoluto della scena in due sequenze diametralmente opposte: furioso e indomabile guerriero sterminatore quando Hiro gli rimuove il chip "buono" (bella la scelta registica di rendere tutto muto con la sola colonna sonora), dolce e straziante invece nella scena finale, quando si congeda da Hiro (e dalla vita) chiedendogli soltanto se è rimasto "soddisfatto del trattamento". 



Se poi tutto questo viene convogliato da una tecnica di animazione magistrale, allora il capolavoro è presto fatto. 
La Disney finalmente abbandona i tipici movimenti scattosi e velocissimi dei personaggi verso un'animazione verosimile, con movimenti lenti e realistici. L'abilità dell'animazione digitale di controllare sempre più singolarmente i pixel consente espressioni del viso ormai precise, un controllo individuale di ogni capello e fibra di tessuto (come già avvenne in Brave); le texture di ambientazioni e materiali sono ormai quasi a livello dei film con persone vere. La fotografia è magistrale, con colori sempre pieni e pastello, ma atmosfere ben delineate, paesaggi dark o all'opposto luminosissimi, contrasti elevati; la regia ruba dai film Marvel più recenti (Capitan America, The Avengers, Iron Man) ma non eccede mai in virtuosismi o manierismi, concependo ogni singola inquadratura e ogni singolo movimento di camera sempre in funzione di ciò che si sta raccontando. 
Le colonne sonore sono imponenti, molto presenti ed estremamente azzeccate; il film ha una sola canzone (ma non cantata dai personaggi). Il montaggio rispecchia i canoni dei film d'azione e aiuta a tenere, come già dicevo, il ritmo sempre molto alto. 



In conclusione, un film quasi perfetto in cui si ride (molto) e si piange (altrettanto), e la tecnica si mette al servizio della narrativa (e mai viceversa); era da tempo che non uscivo da un film d'animazione desiderando perfino di avere le action figures dei personaggi. Disney si rimette in carreggiata e sforna il pezzo da 90.
Assolutamente da vedere.

Voto finale: 9

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