mercoledì 17 giugno 2015

RGD CLASSICS: Il Padrino (1972)

Era il 1972 quando usciva nelle sale cinematografiche quello che nessuno si sarebbe aspettato come uno dei più grandi punti di riferimento della storia del cinema, nonché un film campione d'incassi: Il Padrino, firmato Francis Ford Coppola.
Genesi difficile, quella del Godfather, pellicola tratta dall'omonimo libro di Mario Puzo. 



La Paramount acquistò i diritti nel 1968, anche se molti all'interno della major erano contrari: La Fratellanza, film di ambientazione simile diretto da Martin Ritt aveva appena fatto fiasco. Molti registi furono contattati: nessuno sembrava interessato: Elia Kazan, Sergio Leone, Costa Gavras, Arthur Penn, un'interminabile sequenza di “no, grazie”. Sam Peckinpah si dichiarò disposto di accettare a patto di trasporre tutta la storia in epoca western; il “no, grazie”, stavolta, arrivò dalla Paramount stessa. Fu Robert Evans, all'epoca CEO della casa di produzione, a decidere per Francis Ford Coppola, per motivi economici: costava poco (paradossi della Storia...)
Tipo deciso, il signor FFC: il film si deve fare a New York e ambientato nel 1946. La Paramount, ovviamente sperava di farlo a St.Louis (per risparmiare sulle locations) e ambientarlo nel 1972 (per evitare di farlo in costume). Ma non solo: FFC voleva Marlon Brando per il ruolo di Don Vito Corleone. La Paramount rifiutò categoricamente; Coppola licenziò i membri della troupe che non volevano Brando, e impose Al Pacino (all'epoca semi-sconosciuto) per interpretare Michael Corleone. La produzione voleva nomi più blasonati: Jack Nicholson, Robert Redford, Dustin Hoffman, e minacciò di licenziare Coppola. Intervenne Brando: “se licenziate lui, me ne vado anche io”. Non bastassero le pressioni interne, arrivarono le pressioni esterne: Frank Sinatra volle a tutti i costi che la sceneggiatura fosse cambiata per far sì che il personaggio del cantante Johnny Fontaine, protetto della famiglia Corleone, non fosse ricondotto a lui. La famiglia Colombo di New York iniziò una campagna per boicottare il film, facendo appello all'orgoglio italo-americano. Il boss e il produttore Albert Ruddy si incontrarono e giunsero all'accordo: la parola “mafia” non sarebbe mai stata pronunciata nel film.



Un film dalla trama molto semplice: Don Vito Corleone è il capo dell'omonima famiglia mafiosa, ma è un uomo d'onore, da rispettare, con un alto senso della famiglia e dei rapporti umani; non ama i business rischiosi, non vuole che la famiglia esageri: delinquere sì, ma non troppo. Forte del suo passato (che sarà raccontato nel sequel del film), ha moltissimi agganci in politica e per questo un'amicizia con Corleone equivale ad una vera garanzia. Eppure, intendiamoci, Don Vito è un criminale, non si scampa: in passato uccise, e non esita a fare uccidere, ma sempre con garbo, con ordine, precisione, pulizia. Gli innocenti devono restarne fuori. Quasi un giustiziere, insomma, un “pezz'e'novanta”, anche se non ama definirsi tale.
Ha quattro figli: Sonny, il primogenito, è focoso e irascibile; vorrebbe che la famiglia fosse più determinata, condivide gli ideali del padre, ma non i metodi; è il primo erede, e la famiglia agirà in modo molto diverso sotto la sua guida, quando sarà il momento. Fredo, secondogenito, è debole e stupido: a lui non si può affidare niente di importante, è un'anima fragile. Michael, terzogenito, è completamente estraneo alla famiglia: è un eroe di guerra, un decorato, e viene volontariamente tenuto fuori da tutti gli affari loschi per mantenere rispettabile il cognome della famiglia. Connie, ultima figlia, è l'oggetto di casa: “fai questo, fai quello”, nella tipica mentalità italiana d'un tempo. Nella famiglia c'è anche Tom Hagen, adottato dai Corleone quand'era bambino, e oggi consigliori privato di Don Vito, lo stratega della famiglia.

Succede che un nuovo boss emergente, Virgil Sollozzo, offre a Don Vito la possibilità di entrare nel giro della droga, in cambio della protezione politica e di un milione di dollari in contanti. Don Vito rifiuta, ma Sollozzo, che non accetta rifiuti ed è protetto dal potentissimo boss Barrese, ha già un piano B: uccide il miglior sicario dei Corleone, e poi prepara un attentato a Don Vito. Questi sopravvive, ma in gravi condizioni. Sonny, focoso come sempre, vorrebbe subito fare vendetta, ma la cosa scatenerebbe una guerra fra i Corleone e le famiglie che appoggiano Sollozzo, soprattutto Barrese. Bisogna fare le cose con calma: inaspettatamente è Michael che, indignato dall'attentato al padre e dalla polizia che sta dalla parte di Sollozzo, propone la vendetta e la esegue personalmente, freddando Sollozzo e il capitano della polizia in un ristorante.


Mentre a New York la guerra fra le famiglie mafiose impazza, Michael, per evitare ritorsioni, si trasferisce in Sicilia, dove si sposa con la giovane Apollonia e vive una vita serena; ma gli echi della guerra mafiosa americana arrivano fin lì: qualcuno cerca di far fuori Michael, e uccide invece la povera Apollonia.
Interviene allora Don Vito, siglando un accordo di pace con tutti i grandi capi delle famiglie mafiose per porre fine una volta per tutte alla guerra. Le altre famiglie, però, Barrese in testa, desiderose di eliminare del tutto i Corleone e prendersi tutti i suoi agganci politici, uccidono Sonny grazie alla complicità del nuovo marito di Connie, Carlo.
È troppo per tutti, ora. Michael diventa quindi il capo della famiglia e, dopo la morte per anzianità di Don Vito, insieme al fratellastro Tom Hagen organizza la controvendetta: durante il battesimo del figlio di Connie, Michael fa uccidere tutti i capi di tutte le famiglie mafiose, Barrese incluso, e anche lo stesso marito di Connie, traditore, e diventa il boss più potente di tutta l'America, preparandosi a trasferire tutte le sue attività nel Nevada.
Da anima candida a spietato boss mafioso: questa è la parabola di Michael Corleone, il nuovo Padrino.



Il film incassò oltre 144 milioni di dollari in tutto il mondo fra il 1972 e il 1973, di cui 86 milioni in patria. Fu una sorpresa totale per la produzione, che mai si aspettava un simile esito. Eppure è difficile trovare difetti in questo vero capolavoro del cinema, vincitore (fra i numerosi premi) di ben 3 Oscar (miglior film, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore a Marlon Brando - che rifiutò per protesta contro i metodi di Hollywood nei confronti dei nativi americani, mandando una squaw a ritirarlo al posto suo), 5 Golden Globe (film, regia, attore, sceneggiatura e colonna sonora) e 1 BAFTA (colonna sonora).
La sceneggiatura è infatti un vero capolavoro di equilibri che ruotano intorno ai due protagonisti, Vito e Michael: da un lato il declino di Vito, negli ultimi mesi della sua guida, dall'altro l'ascesa di Michael, un'ascesa che contemporaneamente rappresenta una discesa verso un mondo deplorevole dal quale era sempre stato tenuto fuori (toccante la scena in cui Vito confessa al figlio i suoi rimpianti: “non volevo che toccasse a te”). Una sceneggiatura che rappresenta un passaggio di consegne e offre un incredibile ritratto dell'America post-bellica, in cui sul suolo non toccato dal conflitto in realtà le tensioni sono altissime, le famiglie criminali si dividono i profitti e le zone del territorio e la lealtà è basata solo sul denaro.



I personaggi della famiglia Corleone sono magistralmente interpretati dal cast, ognuno perfetto nel suo ruolo: Robert Duvall nei panni del pacato e riflessivo Tom Hagen, James Caan come focoso Sonny, teso come un fascio di nervi, Diane Keaton nei panni di Key, la fidanzata (e poi moglie) di Michael, così debole da dar fastidio (ed è positivo!), per non parlare dei due protagonisti, due mostri sacri come Pacino e Brando, il primo meraviglioso nel suo percorso verso la crudeltà (e si lamentò di essere stato accreditato solo come co-protagonista), il secondo magistrale nell'inventare un personaggio molto più vecchio di lui, più grasso e sofferente, con il famoso trucco del cotone in bocca per sembrare ancora più autorevole. E tutti i personaggi “di contorno” sono appropriatissimi e spietati: Luca Brasi, Clemenza, Tessio, Carlo, Sollozzo, il poliziotto McCluskey.

Il film riflette perfettamente la società italo-americana dell'epoca, un club di soli uomini in cui armi e denaro determinano tutto: i ruoli femminili stanno a lato, come matrone o puttane, donne di casa o donne da strada, non c'è via di mezzo. E tutta l'ideologia che sta dietro a questo mondo è così complessa e sfaccettata che viene rappresentata indirettamente, attraverso dialoghi e inquadrature. Merito anche di una sublime fotografia firmata Gordon Willis, scandalosamente dimenticata da tutti i premi più importanti, con i neri molto carichi e i gialli spinti (il piano sequenza in apertura è addirittura iconico). Inquadrature scandite bene da un appropriato montaggio, che lascia prevalere emozioni e sentimenti, grazie ad una regia che non risparmia cruda violenza (teste di cavallo mozzate, strangolamenti, sparatorie con gente crivellata, fiumi di sangue, violenze domestiche, pestaggi) e che sfrutta il ritmo lento e calmo per creare giusta tensione e momenti di riflessione.
La colonna sonora firmata Nino Rota è diventata un must, e chiunque riconosce immediatamente quelle splendide note, e le può associare al logo del film, il famoso pupo siciliano a indicare che tutti, alla fine, sono nelle mani di qualcun altro.



Un capolavoro imperdibile, questo film, che ad ogni visione successiva alla prima consente di scoprire nuovi dettagli e sfumature, di soffermarsi sui molti livelli interpretativi e di apprezzare ogni volta aspetti diversi, tecnici e non. Pietra miliare del cinema, ha ispirato molti autori e affrontato ardue prove per conquistarsi il suo spazio nell'Olimpo.
Meritatamente, non c'è che dire.



Voto finale: 9.5

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