domenica 14 giugno 2015

RGD: Il Nome del Figlio

Il cinema italiano fatto bene non ha mai smesso di esistere; purtroppo è sempre più difficile da trovare, sommerso dalle mega-produzioni hollywoodiane, dai film di cartello, da alcuni capolavori esteri e dal cinema nostrano di scarsa (o assente) qualità. Quando lo trovi, però, è come una boccata d'aria fresca. E' questo il caso di Il nome del figlio, ultima opera di Francesca Archibugi, anche sceneggiatrice (insieme a Francesco Piccolo) oltre che regista. Prodotta dall'indipendente Motorino Amaranto con la collaborazione di Rai Cinema e Sky Cinema HD, la pellicola è tratta dall'opera teatrale francese Le Prénom di Alexandre de la Patelliére e Matthieu Delaporte, ed è il remake italiano e italianizzato del film transalpino Cena fra amici




Il film, interamente ambientato in una bella e signorile casa romana situata però in un quartiere "povero" accanto alla ferrovia, racconta della cena che riunisce un gruppo di amici imparentati fra loro. I padroni di casa, Betta e Sandro, si conoscono da quando sono ragazzini: lei ora è una casalinga tuttofare in cerca di un lavoro come insegnante di ruolo e costantemente alle prese con i due figli nati dalla coppia, Pin e Scintilla (nomi decisamente fuori dal comune), lui invece è un professore universitario di sinistra, serioso e maniaco di Twitter, amante della cultura intesa nel suo senso più alto, ma sempre più assente dalle dinamiche familiari; probabilmente lui deve tutto alla famiglia di lei, i Pontecorvo, famosa famiglia ebrea di Roma: l'ingerenza dello scomparso padre Emanuele Pontecorvo, eroe della Resistenza, non ha mai smesso di far sentire il suo peso. 
A cena sono invitati anche Paolo e Simona: Paolo è il fratello di Betta (un Pontecorvo anche lui), agente immobiliare per appartamenti di lusso, imprenditore moderno, tutta apparenza niente sostanza, amante degli scherzi pesanti (anche pesantissimi), egocentrico e un po' superficiale; Simona, sua moglie, è autrice del nuovo bestseller italiano, una specie di "50 sfumature di grigio", del quale però ha scritto solo pochi capitoli; è affascinante, burina, ignorante, ma di buoni sentimenti. Quinto e ultimo commensale è Claudio, storico amico di famiglia, single incallito, musicista, ha dedicato la sua vita alla musica, si veste come Lucio Dalla, ama i profumi, gli incensi e vive di arte. 
Fra i cinque, però, ci sono moltissime tensioni: Betta ha una specie di amante, ma solo Claudio lo sa; Sandro è geloso del successo di Simona, Claudio nasconde un imbarazzante segreto a tutti, Paolo pensa che Claudio sia gay. Tutto questo resta nascosto finché a Paolo non viene l'idea di uno scherzo esagerato: il figlio che lui e Simona aspettano si chiamerà Benito. E' la goccia che fa traboccare il vaso: da scherzo a dramma familiare il passo è breve, e inizia una girandola di scene divertenti e drammatiche in cui tutti vuotano il sacco su tutto, e la cena diventa al veleno: soltanto la nascita del bambino (che poi è una bambina!) e l'amicizia decennale impediranno la rottura di ogni rapporto e il ripristinarsi degli affetti. 




Il film della Archibugi è il frutto di una brillante sceneggiatura, in particolare dei suoidialoghi: ritmi serratissimi, parole a fiume, personaggi perfetti, colpi di scena al momento giusto, una corretta gestione dei climax; forse la pecca della scrittura sta nel non essere mai troppo comica, né troppo drammatica (una specie di aurea mediocritas che a tratti sarebbe stato meglio superare). Il montaggio e la regia dettano il tempo, veramente ben studiati per ritmo e inquadrature (svolgendosi tutto in un grande salone, il rischio di tramutare la storia in un mattone era grosso): la Archibugi osa e sforna un paio di piani sequenza degni dei grandi maestri (la scena della litigata nel cortiletto e il triplo giro intorno al tavolo durante una chiacchierata), e introduce l'uso del drone come standard per le inquadrature esterne e soprattutto interne, sfruttando l'escamotage di un elicotterino telecomandato da Pin e Scintilla. 
Le battute non scadono mai nel volgare e i dialoghi spaziano dalla letteratura alla politica, dai rapporti umani alla filosofia, mescolando cultura popolare moderna (la ginnastica domestica) e grandi mostri della narrativa (Melville su tutti): ci vuole Cultura per cogliere ogni parola appieno, il pubblico dei cinepanettoni si perderebbe 3/4 delle battute. 





Eccellente prova delle maestranze tecniche (oltre alla regia e al montaggio, la fotografiasforna dei bei colori caldi, facendosi ampiamente perdonare l'imperdonabile fuori fuoco nell'inquadratura aerea iniziale, e l'audio in presa diretta non presenta difetti rilevanti), ma soprattutto ottimo lavoro del cast; ogni attore è azzeccatissimo per la sua parte: Alessandro Gassmann è un Paolo perfetto, Valeria Golino non si sottrae all'avanzare degli anni interpretando la sofferente Betta, Luigi Lo Cascio dà il meglio di sé nel ruolo dell'intellettualoide come Sandro, Micaela Ramazzotti per fare la burina sembra esserci nata (e in questo caso è un pregio), e finalmente una grande prova di Rocco Papaleo, che si schioda di dosso il ruolo di comico meridionale e dà vita ad un Claudio intelligente, acculturato e in alcuni punti sinceramente emotivo (finalmente vediamo anche le corde drammatiche dell'attore). Nota dolente, le colonne sonore: a volte troppo alte di volume e piuttosto fastidiose nelle scene iniziali. 



Si esce dalla sala rinfrancati dopo la visione del film: anche se l'idea è francese, il film è 100% italiano e rincuora sapere che esiste ancora chi sa fare cinema nel nostro Paese. 90 minuti che scivolano via veloci, creando un bell'equilibrio nel rompere gli equilibri dei personaggi; mancano davvero solo i due estremi (la battuta memorabile e la lacrima sincera), e qualche finezza qua e là, ma in quei cinque personaggi c'è il ritratto di ogni famiglia italiana, e questo basta.
Consigliato.


Voto finale: 7.5

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