Mi sono preso il mio tempo per fare la
recensione di questo film uscito a gennaio perché, essendo anche regista e
sceneggiatore, quando lo vidi al cinema rimasi totalmente abbagliato
dall'aspetto tecnico del film e non sarei stato obiettivo. Cento minuti di piano sequenza,
dopotutto, stupiscono chiunque, figurati uno che sa quanto difficile
è realizzarlo (anche se qui sono sedici, uno in sequenza
all'altro in modo che sembrino un unicum). Di fatto, quindi, alla
prima visione mi sono "perso" la storia, i personaggi, le sfumature.
Sono passati sei mesi, e mentre mi
concentravo sul dimenticare tale prodigio, Birdman - o l'imprevedibile virtù dell'ignoranza
ha vinto 4 Oscar (i più importanti: regia, sceneggiatura originale,
fotografia e miglior film) con due incredibili secondi posti (attore
protagonista e non-protagonista); uscito per l'home video, l'ho
comprato e rivisto, questa volta concentrandomi sulla trama, sui
personaggi, sulla recitazione. Rimane un film fantastico. Ma ecco in arrivo un'opinione abbastanza impopolare:
m'era piaciuto di più prima.
Non
che la trama sia
brutta, anzi: il film parla di Riggan Thompson (Michael Keaton,
superbo), un attore diventato famoso e miliardario agli inizi degli
anni Novanta interpretando il supereroe Birdman in una grande
trilogia hollywoodiana, e che in seguito ha sperperato tutto (soldi,
carriera e vita personale). Riggan, ormai sulla cinquantina e sul
viale del tramonto, vuole dimostrare al mondo (e soprattutto a se
stesso) di non essere solo Birdman, ma di essere uno splendido attore
drammatico e mette quindi in scena uno spettacolo a Broadway tratto
da libro di Raymond Carver (l'autore che lo scoprì come attore anni
prima) “Di cosa parliamo quando parliamo d'amore”.
Il
problema è che Riggan è completamente sopraffatto dalle lotte
interiori (sente nella sua testa la voce di Birdman che continua a
umiliarlo e che cerca di convincerlo a tornare ai blockbuster dai
soldi facili, e si convince di avere poteri paranormali), ma anche
dalle lotte esteriori: i soldi vengono a mancare nonostante il suo
migliore amico, avvocato e produttore Jake (Zach Galifianakis, magro
e convincente) abbia dato fondo a ogni riserva, cosa che costringe
Riggan a ipotecare la sua casa di Malibu. Inoltre, un riflettore cade
in testa all'attore co-protagonista che minaccia di far causa al
teatro. A conclusione del tormento di Riggan, sua figlia Sam (Emma
Stone), ex tossicodipendente, gli fa da assistente, ma il loro
rapporto è tormentato perché lui è sempre stato un padre assente
(oltre che un marito assente e infedele, e infatti è divorziato); e
perfino la storia d'amore fra Riggan e l'attrice Laura (Andrea
Riseborough) sta andando alla rovina. Insomma, la
vita di Riggan è un vero casino,
e mancano 4 giorni alla premiére.
Come
parziale soluzione a questo disastro, per sostituire l'attore
infortunato viene rimediato Mike Shiner (Edward Norton, più che
pazzesco), marito della protagonista dello spettacolo Leslie (Naomi
Watts) con cui è in crisi piena, maniaco della verità sul
palcoscenico, preciso all'inverosimile e dal carattere completamente
ingestibile; Mike attira il pubblico di Broadway, non si può mandare
via, ma Riggan teme che gli rubi la scena in questo spettacolo per
cui ha dato tutto.
Le
tre anteprime vanno un disastro, mentre la situazione degenera sempre
di più e Riggan si trova a fronteggiare tutti i suoi conflitti
personali (con Birdman), familiari, amorosi e professionali (la
giornalista del Times, Tabitha Dickinson, è pronta a massacrarlo per
dare l'esempio a tutti gli attorucoli di Hollywood che l'Arte è
un'altra cosa).
Ma
inaspettatamente, lo spettacolo diventa un successo quando Riggan, al
colmo della disperazione, tenta il suicidio in scena. E questa è la
svolta della sua vita: gloria e riconoscimenti artistici piombano in
massa e finalmente Riggan può mettersi Birdman alle spalle.
C'è molto da raccontare in questa pellicola e la vera sfida del film è quella di
farlo in piano
sequenza:
i sedici sequence shots sono affiancati uno all'altro in modo da
sembrare uno solo e la telecamera continua a girare vorticosamente
fra corridoi, sale teatrali, Times Square, teatri, bar, tetti, strade
e platee, con una fluidità meravigliosa che fa riscoprire al
pubblico la meraviglia che provarono i francesi nel 1895 davanti al
treno dei Fratelli Lumiére: pura estasi. Impossibile non premiare il
film come Miglior Film e Miglior Fotografia,
è tutto semplicemente perfetto.
La tecnica audio-video non ha una sbavatura,
non c'è un errore, il ritmo
è perfetto e non era affatto semplice scandire il passare dei giorni senza mai
staccare la telecamera.
E
questo è merito anche della
sceneggiatura,
che costruisce i personaggi in maniera perfetta attraverso dialoghi e
situazioni sempre nuove, in modo tale che i personaggi si muovano in
un flusso coordinato per cui prima io spettatore ne seguo uno, poi l'altro, ma nel
frattempo il primo ha fatto qualcosa che io capisco che è successa senza che me lo si dica. Molti i monologhi, e forse in
alcuni punti i personaggi tendono troppo a “spiegarsi”, ma non
trascuriamo due elementi fondamentali del film che consentono di "passare sopra" a questo difetto: il primo è il
meta-spettacolo,
Birdman
è una piéce teatrale raccontata al cinema, in cui lo spettacolo che
Riggan mette in scena si confonde con la sua vera vita; il secondo è
la regia sublime
che consente, sempre senza staccare la macchina da presa, di passare
agilmente da ciò che Riggan vive nella sua testa alla realtà dei
fatti (la scena in cui Riggan finisce il suo volo fra i grattacieli e
poi spunta il tassista che in realtà lo ha accompagnato è
magistrale).
Ci
sono poi alcuni espedienti
meravigliosi: la colonna sonora, quasi esclusivamente suonata con la
batteria, viene integrata nel film, dato che per due volte Riggan
passa accanto al batterista che la suona. Geniale. Oppure memorabile è la
manifestazione in carne e ossa di Birdman, con una momentanea
trasformazione del film in un blockbuster hollywoodiano.
Perché
allora dico che mi era piaciuto di più la prima volta? Perché sotto
la patina di magnificenza c'è la sensazione che ci sia davvero troppa
carne al fuoco,
cosa che ha impedito di approfondire meglio alcuni personaggi
(soprattutto la figlia Sam, l'avvocato Jake e l'attrice Laura); Naomi
Watts stona nel cast ed è abbastanza fastidiosa nel ruolo di Leslie con il suo
conflitto di essere attrice per la prima volta a Broadway che non valeva la pena inserire e che sfocia
in un bacio lesbo con Laura del tutto gratuito e forzato.
Ma
soprattutto, il dialogo fra Riggan e la critica Tabitha Dickinson al
bar sembra quasi voler mettere le mani avanti al film stesso: se le
critiche mi stroncano, a voi non costa niente farle, non rischiate
nulla, ma per me invece questo film è tutto. È un peccato che tutto si riduca a questo, perché
il rapporto con la critica nella sceneggiatura lascia
trasparire soltanto puro astio verso una categoria, un astio che sa molto di
personale (non solo di Riggan, ma del regista Inarritu stesso),
mentre invece sarebbe stato meglio ampliare il discorso, come invece
è stato fatto bene riguardo al tema della rivalità artistica,
economica e culturale fra chi fa cinema e chi teatro, con tutte le
spocchie e i luoghi comuni che la discussione atavica si porta
dietro.
Qualche
falla che comunque non impedisce a Bidman
di essere il film dell'anno 2014, nonché un vero e proprio
capolavoro di tecnica cinematografica. È uno di quei film che forse
piace di più ai tecnici di settore che al pubblico comune,
ma dato il tema trattato è giusto che sia così. I premi sono tutti
meritati, anzi: i mancati Oscar ai due attori Keaton e Norton fanno
quasi male (ma Keaton aveva vinto già il Golden Globe).
Se
non altro, qualcosa
di veramente nuovo
nel panorama
cinematografico.
Ce n'era veramente bisogno.
Voto
finale: 8.5
(9.5 la tecnica, 7.5 il resto)