domenica 14 giugno 2015

RGD: The Imitation Game

La battaglia per gli Oscar e per i Golden Globe come miglior attore protagonista quest'anno è probabilmente una lotta fra attori che impersonano geni della matematica e della fisica. Il primo round ai Golden Globe se l'è aggiudicato Eddie Redmayne per La teoria del tutto in cui interpreta un giovane Stephen Hawking, e deve aver fatto davvero un eccellente lavoro per sconfiggere il Benedict Cumberbatch di The Imitation Game, che penso si prenoti di diritto una statuetta dell'Academy, pareggiando i conti per il suo calarsi nei panni di Alan Turing. Sì, perché il film del regista norvegese Morten Tyldum (già autore del più grande successo del suo Paese, il film Headhunter) è una pellicola di rara bellezza, con un protagonista di ancor più rara bravura (per i fans che adorano Benedict nella serie televisiva Sherlock questa interpretazione sarà un vero visibilio). 




Il film racconta, quindi, la storia vera di Alan Turing, matematico e crittoanalista britannico, che durante la Seconda Guerra Mondiale mette le proprie abilità al servizio dell'esercito di Sua Maestà allo scopo di decrittare i messaggi in codice che i tedeschi si mandano usando la macchina Enigma; costretto dal generale Denniston a lavorare in squadra con altri crittografi guidati dall'intelligentissimo (e belloccio) Hugh Alexander, Turing è convinto che per battere la macchina nazista serva un'altra macchina e così, contro il parere di tutto e di tutti (eccetto quello di Winston Churchill in persona), fa costruire un ambizioso e costoso calcolatore meccanico che possa velocemente passare in rassegna i "159 milioni di milioni di milioni" di combinazioni di crittografia che la macchina Enigma può elaborare, anche perché ogni notte a mezzanotte la combinazione cambia e i crittografi dovrebbero ricominciare da capo il calcolo. I rapporti fra Turing e gli altri membri della squadra sono sempre ai limiti della tensione: Turing è arrogante, dal comportamento asociale, perso nella sua mente e solo parzialmente avulso dalla realtà; a molto serviranno il lavoro e la compagnia di Joan Clarke, brillante matematica e crittografa che Turing stesso assume per concorso e che chiederà in moglie per poterla tenere vicino a sé. In realtà Turing nasconde un grande conflitto interiore, che si porta dietro fin dai tempi del college: la sua omosessualità, obbligatoriamente nascosta dal momento che fino al 1967 in Gran Bretagna costituiva reato penale. E' così che il film, abilmente e fin dal principio, sfrutta i meccanismi della narrazione per spostarsi dalla storia principale ad un flashback nel 1928, in cui scopriamo la struggente storia d'amore mai sbocciata fra il piccolo Alan (date un premio a quel ragazzino, che ha imitato Benedict Cumberbatch alla perfezione!) e il suo compagno di studi Christopher, morto per tubercolosi (Christopher è il nome che Turing dà alla sua macchina). Ma non solo: abbiamo anche dei flash forward ambientati nel 1951, quando un detective di Manchester viene chiamato a indagare su un presunto furto in casa di Turing, e che bonariamente costringe il matematico a confessargli tutta la sua storia segreta riguardo alla macchina e all'omosessualità. Purtroppo il film non ha lieto fine: condannato per oscenità, Turing sceglie come condanna la terapia ormonale anziché il carcere, e dopo un anno di farmaci estremamente debilitanti si suicida. 



Un personaggio non semplice, quello di Alan Turing, che Benedict Cumberbatch interpreta magistralmente: movimenti, tremolii, andatura, balbuzie, battuta pronta, sottile ironia nel non capire l'ironia, conflitti interiori costantemente presenti, omosessualità mai macchiettistica, tutti suggerimenti trasferiti anche al giovane attore che interpreta Alan ragazzino. 
Raramente un film può vantare un protagonista del genere, valorizzato da una sceneggiatura brillantemente costruita dall'autore Graham Moore attraverso i continui salti temporali che si raccontano a vicenda, una sceneggiatura che si concede anche qualche sfizio meta-cinematografico (Turing che fa fare al detective il gioco dell'imitazione su se stesso) e che non cede mai alla provocazione, non calca sul tema dell'omosessualità, ha i giusti momenti di ironia e commozione e si muove verso il finale negativo in cui finalmente Turing/Cumberbatch cede alla disperazione, talmente distrutto dai suoi drammi interiori da dimenticare quasi il beneficio che il suo lavoro ha portato, nonostante lui e il suo team fossero schiacciati dal peso della segretezza, del decidere chi salvare e chi lasciar morire sotto le bombe tedesche, dalle menzogne verso l'opinione pubblica, dal giocare a fare Dio. Una sceneggiatura che inserisce anche elementi di spionaggio (l'agente dell'MI6 che introduce una spia sovietica nel team di Turing all'insaputa perfino di Churchill) e che mescola abilmente verità storiche e drammi personali, usando sempre nei dialoghi un linguaggio appropriato al periodo storico.



Cast di supporto davvero notevole, a partire dalla buona prova di Keira Knightley nel ruolo di Joan Clarke e di Matthew Goode nel ruolo di Hugh Alexander; sempre affascinante e dall'impeccabile stile british Charles Dance (ai più giovani noto per il suo ruolo come Tywin Lannister nella serie Game of Thrones). Reparto tecnico d'assalto con unafotografia perfetta e ben contrastata che usa le sfumature cromatiche per far capire il momento storico (immagini tendenti al giallo e al bianco per il flashback, rosse e calde per la storia principale, blu e fredde per il flash forward), scenografie e costumi meravigliosi e fedelissimi all'epoca storica raccontata, colonna sonora presente, imponente e pertinente,montaggio che scandisce bene il ritmo senza essere mai invadente. Unico neo gli effetti speciali che ricostruiscono le brevissime scene di guerra e i bombardamenti, non all'altezza del resto del film e di qualità discutibile. 



Le scritte in sovraimpressione durante il suggestivo finale rendono onore e giustizia ai meriti di Alan Turing, il cui lavoro anticipò di due anni la fine della guerra, stimando la salvezza di 14 milioni di persone, e fu capostipite degli studi che permisero poi di sviluppare i computer; oggi è soprattutto conosciuto per il suo "test" che mira a scoprire se le macchine possono pensare e mimetizzarsi fra gli esseri umani. Eppure il film rende giustizia soprattutto ai suoi meriti personali, ai suoi caratteri di essere umano, al suo genio e alla sua follia, da sempre segnati da un confine labile e sottilissimo.

Scandalosamente ignorato dai Golden Globes, spero che il film si conquisti le tanto meritate statuette d'oro, non solo per lo straordinario lavoro di Cumberbatch e di tutti, ma perché il regista Morten Tyldum (fino ad oggi sconosciuto ai più) rientra perfettamente in quella categoria di persone descritte dal motto del film: "a volte sono le persone che nessuno immaginava potessero fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno poteva immaginare". 

Voto finale: 8.5

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