giovedì 9 luglio 2015

RGD: Contagious - Epidemia Mortale

Qualche giorno fa, svolgendo il mio lavoro da editore, leggevo un articolo su una rivista americana, articolo che conteneva un'intervista ad un grosso publisher, il quale suggeriva agli autori emergenti di smetterla di scrivere storie sugli zombie: “Tutto ciò che per voi è una novità, io l'ho già letto mille volte”. Non aveva torto: il mercato degli zombie è vasto, ma saturo, e non solo nei libri, basti pensare a “World War Z” o alla fortunatissima serie “The Walking Dead”. Contagious – Epidemia Mortale (titolo originale Maggie) vuole cercare di introdurre la novità (sempre che esista davvero, quindi) nel mondo degli zombie su grande schermo, concentrando tutta la storia non sulla parte apocalittica, ma sul rapporto intimo fra un padre e una figlia contagiata, e sul dramma del diventare zombie. L'intera produzione, però, avrebbe fatto meglio ad ascoltare il grande publisher americano e lasciar perdere.



È tutto sbagliato in questo film, a partire dalla trama raccontata nella sceneggiatura (pessima) di John Scott 3. Siamo in uno scenario post-apocalittico, in cui la grossa crisi è già finita e il mondo si avvia verso la ripresa di una vita normale: dalle notizie che si apprendono (tramite il trito e ritrito espediente del radiogiornale), i provvedimenti di quarantena, coprifuoco e legge marziale presi dall'esercito, i medicinali soppressori studiati dai medici e la prevenzione dei contadini che bruciano i loro campi per impedire il diffondersi del virus (che comunque non si capisce bene se si prenda per via aerea, per i morsi dei contagiati o per altre vie) hanno funzionato: il contagio del virus necroambulist è diminuito del 30% e si stima che nel giro di due o tre mesi non ci saranno più nuovi contagi. Il contadino Wade Vogel (Arnold Schwarzenegger) percorre campi e città in cerca di sua figlia Maggie, che è stata contagiata da un morso (non si saprà mai di chi, perché, dov'era quand'è successo, sappiamo solo che è successo perché lei una volta ogni tanto sogna il suo "morsicatore"); quando Wade la trova è in ospedale, pronta per essere spedita in quarantena. Conscio dei metodi terribili che usano in quarantena per sopprimere i contagiati (perché mai usarli, poi? Basterebbe sparare loro per eliminarli), Wade riesce a portare Maggie a casa grazie al suo amico medico che, contro qualsiasi protocollo, etica professionale e senso logico, la lascia uscire dall'ospedale.



A casa, Maggie inizia la lenta “trasformazione” in zombie, mentre per lo spettatore inizia l'interminabile supplizio di un'ora e mezza di scene senza senso, piazzate una in fila all'altra, che raccontano fatti inutili: Wade costretto a uccidere due vicini di casa zombizzati ma innocui, i poliziotti che vorrebbero a tutti i costi portare via Maggie, il medico che suggerisce a Wade di ucciderla con un fucile oppure con un cocktail dolorosissimo di farmaci (anche se il perché dovrebbe essere doloroso, poi, non si sa, soprattutto considerando che gli zombie non provano dolore, tant'è che Maggie si trancia un dito da sola), ma non solo: altre lunghe sequenze padre-figlia in cui i due rievocano futili ricordi del passato (ad esempio il rapporto fra Wade e il suo furgone), passeggiano nei campi, vedono un giardino di margherite creato anni prima dalla madre morta (era zombie pure lei? Non si sa), oppure altre scene prive di logica, come quella in cui Maggie esce con i suoi compagni di scuola (nonostante il coprifuoco), alcuni dei quali perfino contagiati (ma se sono così pericolosi, allora perché girano insieme alla gente, visto che da un momento all'altro potrebbero sbranarla? I contagiati non vengono mica spediti in quarantena? Una contraddizione dietro l'altra).
Maggie inizia a diventare pericolosa quando comincia a percepire l'odore degli esseri umani piacevole come il cibo, poi sbrana una volpe nel bosco, ma nonostante tutto Wade preferisce vederla agonizzare e diventare uno zombie anziché porre fine alle sue sofferenze con una pallottola. Quando, temendo per la propria vita, finalmente si prepara a spararle, è troppo tardi: Maggie si suicida gettandosi dal tetto della casa, ripensando a sua madre (che non si è mai vista prima, e di cui si è parlato due volte in tutto il film, la cui visione perciò non suscita alcuna emozione).



Siamo al di fuori di ogni possibile giudizio: raramente mi sono trovato di fronte ad un simile sfregio all'arte della sceneggiatura. Le regole di coerenza e coesione vanno a farsi benedire in ogni inquadratura. Personaggi pessimi, senza passato (nessun'idea su cosa sia il virus, sul perché sia arrivato, su cosa facevano tutti prima del virus), ma anche senza conflitto, non c'è un briciolo di emozione, forse anche perché per un ruolo che nelle intenzioni è così drammatico (un padre costretto ad uccidere la figlia) Arnold Schwarzenegger non è l'attore più adatto (ce la mette tutta, ma fa fatica perfino a piangere in modo credibile). Dato che il film l'ha prodotto lui (insieme ad altre sette case di produzione, cosa veramente inconcepibile visti i risultati), posso anche passarci sopra, ma il resto del cast è più che pessimo, non si salva proprio nessuno.
La regia abusa di inquadrature e di dettagli, una sequenza infinita di dettagli che non aggiungono nulla alla narrazione, ho contato fino a 25 inquadrature in una scena di 4 minuti senza dialoghi in cui non succedeva proprio niente (c'era Schwarzenegger che girava in una casa abbandonata). I ritmi sono lentissimi, si ha un avvenimento ogni 4-5 scene, e nonostante il buon montaggio (aiutato dalle infinite inquadrature), il buon make-up, i decenti effetti visivi, il discreto sonoro e la buona fotografia (desaturata e priva di contrasti), tutte cose comunque al minimo necessario per mantenere uno standard professionale, assistere allo sviluppo della pellicola è un vero supplizio, e la soporifera colonna sonora non aiuta.



Lento, incoerente, inconcludente, spreca una buona intuizione (spostare il dramma dall'apocalisse al conflitto emotivo) non scavando mai a fondo nella storia e nei personaggi.
Non c'è un messaggio (quale dovrebbe essere? Che un contagiato, in fondo, non perde mai completamente la sua umanità?), non c'è mai tensione, non c'è paura, non c'è dolore, non c'è identificazione, non c'è coerenza (dicono una cosa e ne fanno un'altra: la radio annuncia “non possiamo aprire le scuole” e gli amici di Maggie dicono “fra poco ci sarà la scuola, quindi non potremo più uscire la sera”; i contagiati sono pericolosamente letali, ma tutti si comportano come se nulla fosse, gli stessi contagiati non hanno mai paura di morire, accettano semplicemente la loro sorte), insomma non c'è un solo motivo per cui si dovrebbe rimanere in sala fino alla fine, se non forse il fatto di aver pagato il biglietto.



Con una netta revisione della sceneggiatura, avrebbe potuto essere un buon cortometraggio di 20 minuti. Invece ne esce un film a elettroencefalogramma piatto, uno zombie a sua volta. Bocciatissimo.


Voto finale: 4

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