Qualche giorno fa, svolgendo il mio lavoro da
editore, leggevo un articolo su una rivista americana, articolo che conteneva
un'intervista ad un grosso publisher, il quale suggeriva agli autori
emergenti di smetterla di scrivere storie sugli zombie: “Tutto ciò
che per voi è una novità, io l'ho già letto mille volte”. Non
aveva torto: il mercato degli zombie è vasto, ma saturo, e non solo
nei libri, basti pensare a “World War Z” o alla fortunatissima
serie “The Walking Dead”. Contagious – Epidemia Mortale (titolo originale Maggie) vuole cercare di introdurre la novità (sempre che esista davvero,
quindi) nel mondo degli zombie su grande schermo, concentrando tutta
la storia non sulla parte apocalittica, ma sul rapporto intimo fra un
padre e una figlia contagiata, e sul dramma del diventare zombie.
L'intera produzione, però, avrebbe fatto meglio ad ascoltare il
grande publisher americano e lasciar perdere.
È
tutto sbagliato
in questo film, a partire dalla trama
raccontata nella sceneggiatura
(pessima)
di John Scott 3. Siamo in uno scenario post-apocalittico, in cui la
grossa crisi è già finita e il mondo si avvia verso la ripresa di
una vita normale: dalle notizie che si apprendono (tramite il trito e
ritrito espediente del radiogiornale), i provvedimenti di quarantena,
coprifuoco e legge marziale presi dall'esercito, i medicinali
soppressori studiati dai medici e la prevenzione dei contadini che
bruciano i loro campi per impedire il diffondersi del virus (che
comunque non si capisce bene se si prenda per via aerea, per i morsi
dei contagiati o per altre vie) hanno funzionato: il contagio del
virus necroambulist
è diminuito del 30% e si stima che nel giro di due o tre mesi non ci
saranno più nuovi contagi. Il contadino Wade Vogel (Arnold
Schwarzenegger) percorre campi e città in cerca di sua figlia
Maggie, che è stata contagiata da un morso (non si saprà mai di chi,
perché, dov'era quand'è successo, sappiamo solo che è successo perché lei una volta ogni tanto sogna il suo "morsicatore"); quando Wade la trova è in ospedale,
pronta per essere spedita in quarantena. Conscio dei metodi terribili
che usano in quarantena per sopprimere i contagiati (perché mai usarli, poi? Basterebbe sparare loro per eliminarli), Wade riesce a portare Maggie a casa grazie al suo amico
medico che, contro qualsiasi protocollo, etica professionale e senso
logico, la lascia uscire dall'ospedale.
A
casa, Maggie inizia la lenta “trasformazione” in zombie, mentre
per lo spettatore inizia l'interminabile supplizio di un'ora e mezza di scene senza senso, piazzate una in fila all'altra, che raccontano
fatti inutili: Wade costretto a uccidere due vicini di casa
zombizzati ma innocui, i poliziotti che vorrebbero a tutti i costi portare via
Maggie, il medico che suggerisce a Wade di ucciderla con un fucile
oppure con un cocktail dolorosissimo di farmaci (anche se il perché dovrebbe
essere doloroso, poi, non si sa, soprattutto considerando che gli zombie non provano
dolore, tant'è che Maggie si trancia un dito da sola), ma non solo: altre lunghe
sequenze padre-figlia in cui i due rievocano futili ricordi del passato (ad
esempio il rapporto fra Wade e il suo furgone), passeggiano nei
campi, vedono un giardino di margherite creato anni prima dalla madre
morta (era zombie pure lei? Non si sa), oppure altre scene prive di
logica, come quella in cui Maggie esce con i suoi compagni di scuola
(nonostante il coprifuoco), alcuni dei quali perfino contagiati (ma se sono
così pericolosi, allora perché girano insieme alla gente, visto che
da un momento all'altro potrebbero sbranarla? I contagiati non vengono mica spediti in quarantena? Una contraddizione dietro l'altra).
Maggie
inizia a diventare pericolosa quando comincia a percepire l'odore degli
esseri umani piacevole come il cibo, poi sbrana una volpe nel bosco, ma
nonostante tutto Wade preferisce vederla agonizzare e diventare uno
zombie anziché porre fine alle sue sofferenze con una pallottola. Quando, temendo per
la propria vita, finalmente si prepara a spararle, è troppo tardi:
Maggie si suicida gettandosi dal tetto della casa, ripensando a sua
madre (che non si è mai vista prima, e di cui si è parlato due
volte in tutto il film, la cui visione perciò non suscita alcuna
emozione).
Siamo
al di fuori di ogni
possibile giudizio: raramente mi sono trovato di fronte ad un simile sfregio all'arte
della sceneggiatura. Le regole di coerenza e coesione vanno a farsi benedire in ogni inquadratura. Personaggi
pessimi,
senza passato (nessun'idea su cosa sia il virus, sul perché sia arrivato, su cosa facevano tutti prima del virus), ma anche senza conflitto, non
c'è un briciolo di emozione,
forse anche perché per un ruolo che nelle intenzioni è così
drammatico (un padre costretto ad uccidere la figlia) Arnold
Schwarzenegger non è l'attore più adatto (ce la mette tutta, ma fa
fatica perfino a piangere in modo credibile). Dato che il film l'ha prodotto lui
(insieme ad altre sette case di produzione, cosa veramente
inconcepibile visti i risultati), posso anche passarci sopra, ma il resto del cast
è più che pessimo, non si salva proprio nessuno.
La
regia
abusa di inquadrature e di dettagli, una sequenza infinita di
dettagli che non aggiungono nulla alla narrazione, ho contato fino a 25 inquadrature in una scena di 4 minuti
senza dialoghi in cui non succedeva proprio niente (c'era Schwarzenegger che girava
in una casa abbandonata). I ritmi
sono
lentissimi, si ha un avvenimento ogni 4-5 scene, e nonostante il
buon montaggio
(aiutato dalle infinite inquadrature),
il
buon make-up,
i decenti effetti
visivi,
il discreto sonoro
e la buona
fotografia
(desaturata e priva di contrasti), tutte cose comunque al minimo
necessario per mantenere uno standard professionale, assistere allo
sviluppo della pellicola è un vero supplizio, e la soporifera
colonna sonora
non aiuta.
Lento,
incoerente, inconcludente, spreca una buona intuizione (spostare il
dramma dall'apocalisse al conflitto emotivo) non scavando mai a fondo
nella storia e nei personaggi.
Non
c'è un messaggio
(quale
dovrebbe essere? Che un contagiato, in fondo, non perde mai
completamente la sua umanità?), non c'è mai tensione, non c'è
paura, non c'è dolore, non c'è identificazione, non c'è coerenza
(dicono una cosa e ne fanno un'altra: la radio annuncia “non
possiamo aprire le scuole” e gli amici di Maggie dicono “fra poco
ci sarà la scuola, quindi non potremo più uscire la sera”; i
contagiati sono pericolosamente letali, ma tutti si comportano come se nulla fosse,
gli stessi contagiati non hanno mai paura di morire, accettano
semplicemente la loro sorte), insomma non
c'è un solo motivo per cui si dovrebbe rimanere in sala fino alla
fine,
se non forse il fatto di aver pagato il biglietto.
Con una netta revisione della sceneggiatura, avrebbe potuto essere un buon cortometraggio di 20 minuti. Invece ne esce un film
a elettroencefalogramma piatto, uno zombie a sua volta.
Bocciatissimo.
Voto
finale: 4
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