Per molti anni ho ritenuto che questo
film fosse una specie di metafora della mia vita e che io fossi un po'
Salvatore, destinato ad una vita di solitudine amorosa per coltivare
la grande passione del cinema. Fortunatamente per me, le cose sono
andate diversamente da un punto di vista affettivo, ma è pur vero
che il cinema è un'amante vorace, che ti vuole tutto per sé.
Un po' quello che è successo a
Giuseppe Tornatore, che ha deciso di raccontare largamente se stesso in
Nuovo Cinema Paradiso,
il suo più grande successo. Come ogni opera maestosa, anche NCP ha
avuto bisogno di superare grandi ostacoli per poter entrare
nell'Olimpo della settima arte.
In
questo caso, i problemi sono stati principalmente di natura distributiva:
per parola dello stesso Tornatore, il film nel
1988 andò malissimo al cinema,
eccezion fatta per la città di Messina, dove il proprietario del
cinema Aurora spinse il pubblico ad entrare gratis, invitandolo a
pagare il biglietto solo se il film fosse stato gradito
(paradossalmente, anni dopo, quel cinema Aurora ha fatto la fine del
NCP: chiuso).
Tornatore,
regista e sceneggiatore, e il suo produttore Franco Cristaldi, decisero per una drastica revisione della pellicola. Via tutte le
parti che riguardavano l'amore romantico del protagonista e tutti i
suoi dubbi amletici (secondo atto); lasciato invece ampio spazio alla sua infanzia e alla sua
infatuazione perpetua con il cinema (primo e terzo atto). Il film venne quindi ridotto
in maniera consistente (da 180 a 120 minuti) e, del tutto
inaspettatamente, arrivò addirittura la nomination agli Oscar
1990, statuetta che la pellicola vinse come Miglior Film Straniero,
premio che andò a fare compagnia al Golden Globe
e a ben 5 BAFTA.
Inutile
dirlo, dopo il premio americano la distribuzione in Italia della
versione ridotta (per mano della Titanus) fu un trionfo assoluto. Fu
allora che Tornatore ripropose la sua versione originale da 3 ore,
per aumentare il proprio successo e riproporre la sua intenzione autoriale (e con buona ragione: è
decisamente migliore!)
Ecco
perché l'unica vera trama
di Nuovo Cinema
Paradiso
che mi sento di raccontare e recensire è quella della versione estesa. Il film è
diviso in tre atti molto marcati.
Nel
primo atto, il regista Salvatore Di Vita (Jacques Perrin), rientrando nella sua casa di Roma, apprende dalla sua
compagna, in una notte estiva con tanto di temporale, che è morto un
certo Alfredo e che due giorni dopo ci sarà il funerale a Giancaldo,
in Sicilia, paese natale di Salvatore. Questi intraprende quindi
un lungo viaggio nei ricordi, risalendo addirittura all'epoca in cui era bambino
(Salvatore Cascio, un vero portento). Siamo nell'immediato
dopoguerra, l'Italia è allo stremo e ancor di più lo è la Sicilia:
Giancaldo è un piccolo paesino che per Salvatore rappresenta il
centro del mondo, soprattutto perché è uno dei pochi ad avere una
sala cinematografica, il Cinema Paradiso, e il cinematografo è la
passione più grande del piccolo Salvatore; Alfredo (Philippe Noiret,
magistrale) è il proiezionista del cinema, nonché “padre
sostituto” di Salvatore, dal momento che il vero papà è morto in
guerra e la mamma è sempre sola con due figli piccoli. Il rapporto
fra Alfredo e Salvatore è simpaticamente ricattatorio e conflittuale, ma in realtà si vogliono
entrambi molto bene e Alfredo fa di tutto per coltivare la passione
di Salvatore per il cinema. E così la vita in paese scorre
tranquilla, fra aneddoti, figure caratteristiche, episodi divertenti,
e soprattutto film proiettati al Paradiso. Ma poi le cose cambiano
completamente quando, una sera, la pellicola prende fuoco e il cinema
finisce in cenere; il piccolo Salvatore, eroicamente, si lancia
dentro al cinema ed estrae lo svenuto Alfredo, giusto in tempo per
salvargli la vita, ma non abbastanza velocemente da impedirgli di
diventare cieco.
Nel
secondo atto, passano gli anni e Salvatore diventa adolescente (Marco
Leonardi, qui in uno dei suoi primi ruoli). Grazie agli investimenti
privati di un napoletano arricchitosi col Totocalcio viene costruito
il Nuovo Cinema Paradiso, ed è proprio Salvatore a sostituire il cieco Alfredo come proiezionista: sono cambiati i tempi e i costumi, l'Italia
è ora molto più pruriginosa e disinibita, il cinema diventa luogo
peccaminoso sia in sala che sullo schermo e anche Salvatore inizia le
sue prime fughe sessuali e amorose: il ragazzo perde infine la testa per Elena, figlia
di una famiglia del nord trasferitasi in Sicilia per lavoro. La loro
relazione è osteggiata dai genitori di lei, e nel profondo del cuore
anche da Alfredo, che vede nella ragazza un pericolo per Salvatore,
che sta iniziando ad abbandonare i suoi sogni di fare il cinema, accecato dalla passione. Quando la
famiglia di lei si trasferisce, Salvatore non riesce a
salutarla prima di partire a sua volta per il servizio militare. Quando ritorna al paese dopo la naja, nulla è più come
sembra: tutto ciò che ha costituito la sua gioventù non c'è più, molti anziani sono morti, i giovani sono andati tutti nelle grandi
città; rimane soltanto il vecchio e cieco Alfredo, che gli ordina di
partire per Roma, di intraprendere la carriera di regista e di non tornare mai
più.
Nel
terzo atto, finisce il flashback e Salvatore torna quindi al paese
per il funerale di Alfredo. Siamo negli anni Novanta, tutto è
cambiato: le automobili tappezzano le strade, il Nuovo Cinema
Paradiso sta per essere demolito, distrutto dalla concorrenza di
televisione e videocassette. Dopo il funerale, il giorno
della demolizione del Cinema (una scena estremamente toccante) Salvatore vede
una ragazza simile a Elena: scoprirà essere la figlia di lei, nel frattempo sposatasi con un suo ex compagno di classe. I due si
incontreranno clandestinamente una notte e scopriranno che fu Alfredo
a fare in modo di non farli più incontrare: in un coraggioso atto di vero amore
paterno, ha preferito farsi odiare da Salvatore e separarlo con la forza da Elena, piuttosto che negargli la possibilità di realizzare il suo sogno di
diventare regista. Come regalo, gli ha lasciato in eredità una
pellicola contenente tutti i baci censurati nei più celebri film
degli anni Quaranta e Cinquanta, che lui e Salvatore tagliavano
insieme in un tempo che sembra così lontano.
Difficile
non farsi catturare
dai sentimenti
in questa pellicola, che nonostante la durata fila via liscia e,
anzi, quasi chiede di essere immediatamente visionata di nuovo al termine. Siamo di fronte alla cosiddetta sceneggiatura (quasi) perfetta:
si piange, si ride, c'è azione, c'è tensione, c'è malinconia,
speranza e sogno.
Nella storia si
parla di cinema, ma soprattutto di persone:
il centro del film non è solo il rapporto fra Salvatore e il
cinematografo (vero e proprio personaggio in carne e ossa), ma fra Salvatore e le figure che hanno caratterizzato
la sua vita, in primis Alfredo, uomo burbero ma di buon cuore, che
sacrifica tutto se stesso per Salvatore, nel quale vede non solo un
bambino (e poi un ragazzo) senza altre guide, ma anche un riscatto per se
stesso, per la vita che non ha mai potuto fare, vede in lui la
gioia per la gioventù e per le nuove generazioni. Alfredo incarna il
passato tanto quanto Salvatore incarna il futuro, e anche se
Salvatore non vuole darlo a vedere, c'è sempre Alfredo dietro ogni
azione che compie, dietro ogni scelta che prende. Ma anche la mamma
di Salvatore (Pupella Maggio da anziana, Antonella Attili da giovane)
è un personaggio fondamentale: da sempre vista come ostacolo e come
legame col passato per Salvatore, è in realtà una figura fragile,
rimasta sola con due bambini piccoli, che ha sempre dovuto badare a
se stessa e che non si è mai opposta a questa relazione "extra-familiare" fra Alfredo e suo figlio, sapendo che in fondo Alfredo era la guida giusta per il bambino.
Meravigliosi
tutti i personaggi
di contorno,
troppi perfino da ricordare (l'eccezionale Leopoldo Trieste nel ruolo
del prete, Enzo Cannavale nel ruolo del napoletano Spaccafico, Leo
Gullotta nella parte del ritardato assistente di Alfredo, ma anche la
coppia che al cinema si ama, quello che conosce tutti i film a
memoria, quello che dorme sempre nel cinema, il compagno di classe stupido che, con satira pungente da parte di Tornatore, finisce per fare il politico, fino ad arrivare al boss mafioso
locale ucciso durante una proiezione), sono tutti inseriti in un
primo atto che è un vero e proprio spaccato su un'epoca,
su un mondo che oggi non esiste più, un mondo in cui il cinema e la
vita quotidiana si intrecciavano (infinite
le citazioni di film famosi
che vengono mostrati nel primo atto, da I
vitelloni
a La terra trema,
passando perfino dai cinegiornali dell'Istituto Luce – e c'è
spazio anche per la televisione al cinema), un mondo fatto di piccoli
aneddoti in un piccolo paese, in cui anche gli adulti andavano a fare gli esami di quinta elementare (scena esilarante), in cui ci si portava la sedia al cinema da casa, in cui il prete era la massima autorità morale e culturale, in cui con 50 lire si pagava un biglietto, in cui le macerie della guerra erano ancora ai lati delle strade, in cui i lavoratori emigravano in Germania e in cui il "pezzo di carta" rappresentava la differenza fra una vita dignitosa e una vita di stenti.
Un
mondo che per Salvatore rappresenta l'intero mondo, ma che nel
secondo atto inizia ad apparire piccolo, ristretto: un secondo
atto
che sembra meno coinvolgente, troppo incentrato sui drammi d'amore e sui patemi di un adolescente insicuro, che perde quella magia di ritratto del mondo (che è stato tagliato integralmente nella versione ridotta del film), ma che è espressione e passaggio
necessario di quello stato d'animo transitorio di Salvatore, senza il
quale il terzo atto
perderebbe tutta la sua malinconia, il suo senso di qualcosa che era
e che necessariamente non è più, senza il quale lo spettatore non
riuscirebbe a percepire quel senso di “col senno di poi”, di "cosa sarebbe potuto essere", di "rimpianto per una strada che si sarebbe potuta percorrere" che
Tornatore vuole trasmettere, un terzo atto che riconquista quel legame con il primo e conferma la teoria di Alfredo: "devono passare molti anni perché tu possa ritrovare la tua gente, il luogo in cui sei nato".
Certo
il cast
aiuta molto (Noiret su tutti, ma anche il piccolo Salvatore Cascio,
vero portento, un talento incredibile, una naturalezza che sconvolge
– e si è perfino ridoppiato da solo!), ma la regia
è sapiente, i ritmi
del montaggio
sono perfetti e ogni inquadratura
è un quadro che volge al fine del racconto metacinematografico: lo
schermo nello schermo. Le musiche
di Morricone sono ben oltre l'emozionante, con un tema d'amore (composto da suo figlio) che
ancora oggi dà i brividi e che spacca con una lacrima anche il più
duro dei cuori di pietra nel finale, quando Salvatore osserva il mix
di “baci cinematografici” che Alfredo gli ha regalato.
Qualche
pecca arriva per ingenuità, su stessa ammissione di Tornatore, da
alcuni fuori fuoco e da un sonoro
(di presa diretta e di post-produzione) talvolta davvero
penalizzante. Ma la potenza emotiva e la carica filosofica, storica, artistica e spirituale del film è talmente elevata che ci si passa quasi sopra - forse siamo troppo abituati oggi allo splendore tecnico e alla confezione, ma non è sempre questo quello che conta.
In conclusione, un'opera
meravigliosa in cui sono molte le frasi
memorabili,
ma su tutte ne voglio ricordare una, che è il vero messaggio del
film, e che è l'ultimo lascito di Alfredo prima di separarsi per
sempre da Salvatore e di non vederlo mai più, un messaggio che dalla
prima volta che ho visto il film ho deciso di adottare come filosofia
di vita, e che solo chi ha visto Nuovo
Cinema Paradiso
può comprendere fino in fondo: “Qualunque cosa farai, amala... come amavi la cabina
del Paradiso quando eri piccolino”.
Voto
finale 9.5
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